(In caso di maltempo la serata si svolgerà al Teatro Sperimentale. I film in programma verranno spostati la mattina successiva alle 11 nello stesso luogo)
IL MURO DEL SUONO, sezione che da diverse edizioni della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema si rivolge alla scena musicale indipendente italiana, a suoni, a (re)visioni, a sonorizzazioni e rivisitazioni inedite di opere mute, anche quest'anno prende forma in un unico significativo evento. Dal grembo cittadino della corte di Palazzo Gradari ci si sposta per il secondo anno consecutivo in Piazza del Popolo per una proposta inevitabilmente straordinaria... Il prezioso ruolo di Vittorio Ondedei aka Topazio Perlini aka Ruben Camillas, ora chitarrista della super-band pesarese dei Crema, è stato determinante... Con Vittorio e con lo spirito sempre vivo di Zagor Camillas/Mirko Bertuccioli, la linea del Muro del Suono proseguirà il suo cammino anche nelle prossime edizioni...
Il testimone artistico per il 2021 passa a N.A.I.P. sul palco di Piazza del Popolo, fulcro della programmazione serale della 57^ edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, e propone un'inedita versione dell'artista calabrese.
N.A.I.P., al bar Michelangelo Mercuri, emerge mediaticamente solo di recente ma ha già una ben radicata identità artistica. Per quanto discutibili, i talent show televisivi “prêt-à-porter” hanno dato slancio alla sua popolarità nonostante le situazioni avverse del clima culturale planetario a causa di una inappropriata quanto inopportuna pandemia.
N.A.I.P. approda a Pesaro per testimoniare che si può fare pop anche senza s(pop)polare, che si può essere all'avanguardia pur senza rientrare in circuiti di nicchia per pochi eletti.
N.A.I.P. sopraggiunge come one-man band, nell'era dell'isolazionismo forzato di una comunità artistica disorientata e ferita. In questa cornice di irreale realtà, Mercuri conia un pop distopico documentato da “Nessun Album In Particolare” portando avanti la sua personale visione dell'individuo. N.A.I.P. atterra sull'immaginario altrui rivendicando che lui è Nessun-Artista-In-Particolare, scrollandosi di dosso l'anonimia che permea un significativo affollamento dell'underground, e allo stesso tempo sostenendo un universo creativo, intimo e personale, scardinato da stereotipi, luoghi comuni e retorica di facile consumo. Se Petrolini avesse cantato nei Suicide di Alan Vega, probabilmente si sarebbe chiamato N.A.I.P. Per definirlo, al momento non trovo altri riferimenti!
Qui a Pesaro, il suo processo creativo, ludico quanto lucido, si confronterà e si fonderà con le più importanti avanguardie degli anni ‘20, da Hans Richter a Man Ray, da Walter Ruttman a Marcel Duchamp, passando attraverso Fernand Léger e Viking Eggeling...
A cura di Anthony Ettorre
Ciao Michelangelo, dove sei stato tutto questo tempo?
Ciao! Me lo hanno chiesto in tanti, direi che sono stato in molti posti ma non ci eravamo mai incrociati, ora sì, e ne sono felice. Spero lo siate anche voi.
Che relazione c'è tra le opere filmiche che sonorizzerai e N.A.I.P.?
N.A.I.P. è un animale sonoro, visivo, più che sociale. Si lascia attraversare da cose, vicende, opere, e ne restituisce la sua visione. Le opere che sonorizzerò sono una vicenda che mi capiterà di fare mia, in quanto tale, ve ne farò sentire la mia visione.
Donare nuova linfa a film appartenenti a più di un secolo fa è impresa coraggiosa. Qual è la tua idea di sonorizzazione o di rimusicazione (termine più appropriato)?
Nessuna idea precisa. Tutto accade mentre lo si fa. Il mio approccio con queste opere non sarà diverso dall’improvvisare. Voglio cercare di essere il più puro possibile, spero di riuscire. Per quel che riguarda i secoli e il tempo, ho sempre creduto poco a questo genere di organizzazioni.
In quale cinema ti riconosci?
Le cose che mi mettono i brividi appartengono all’indefinito, all’onirico, al non perfettamente comprensibile, sono cose che mi fanno sentire dentro qualcosa con tutti e cinque i sensi. Per questo amo il cinema di Lynch o Fellini, ad esempio. Ma ogni tanto guardo anche le commedie. Non guardo le serie, volevo fare coming out qui.
Ci sveleresti la genesi del tuo processo artistico?
Tutto parte dalla visione, che può essere generata da un suono o una parola, da un incastro tra elementi invisibili o visibili. Sì, penso sia un incastro a più livelli di cui percepisco la potenza, così l’idea, come un animaletto, entra dal portone principale del mio processo creativo, che è sempre spalancato (ahimé) e io mi lascio “possedere”. C’è sempre un momento in cui non comando più io, da lì le cose diventano più interessanti. A volte metto su della musica, aiuta l’avanzare del processo creativo, delle immagini. In questo caso metterò su delle immagini, per far avanzare il suono.
Nelle tue opere passate, sia musicalmente sia nei testi, c'è l'irruenza metal, con suoni duri e puri, e lo spirito del punk, grazie alla frontalità dei testi. Quanto ti appartiene ancora tutto ciò?
Una volta un amico mi ha detto “hai cambiato strumenti, ma gli scavi sono sempre gli stessi”. Penso queste parole siano esatte. L’attitudine e l’urgenza comunicativa hanno sempre la stessa irruenza, quello che credo sia variato o possa variare, oltre agli strumenti (quindi al genere musicale), è il focus rispetto a ciò di cui parlo o parlerò. È inevitabile che si è interessati a qualcosa in determinati momenti della vita, e ad altro in altri momenti. Ultimamente sono meno sociologo e più intimista nella scrittura, ma il processo in questo senso è ancora in corso.
Si prevedono progetti futuri più classicamente rock?
Al momento direi di no.
Oggi sei un cantautore che gioca con l'elettronica che gioca con cortocircuiti estetici che gioca con le parole. Lo fai più per stupire o più per divertirti?
Non saprei perché lo faccio, penso sia l’espressione di alcuni lati di me che sono arrivati per primi a conquistarsi il posto di “validi per essere messi in opera”, quindi oggi sono di fatto materia. In futuro potrei esprimermi diversamente, ma è tutta una questione di sensibilità ed esperienza in movimento, più che di divertimento.
Qual è l'universo musicale che più ti appartiene?
Provengo dal metal come dal cantautorato classico, alle medie ascoltavo hardcore elettronico da rave, hip hop, Vivaldi. Credo sia un universo senza generi il mio, credo sia semplicemente musica in senso lato, ma devo dire che non amo il reggaeton.
Qual è la tua idea di poesia?
La poesia è quella cosa che non sai definire, ma che quando c’è la riconosci. È la citazione di non ricordo cosa, forse di un film, ma si avvicina tantissimo alla mia idea di poesia.
In qualche modo ti senti un artista d'avanguardia?
In realtà no, mi sento antichissimo, ma forse questo può risultare avanguardistico.
Si è già detto tutto o c'è qualche speranza che si possa ancora proporre “qualcosa di completamente diverso”?
Il mio professore di estetica, Carlo Serra, una delle menti più illuminate ed illuminanti che ho avuto modo di incontrare nel corso della mia vita, mi disse che la novità nasce dall’unione di cose che non si erano ancora incontrate. Queste parole me le porto sempre dietro. Penso che qualcosa di completamente diverso sia sempre verificabile.
Come ti relazioni con il vuoto e lo smarrimento creativo?
Non ci penso.
Fai inevitabilmente parte della scena musicale post-pandemia... ti segna artisticamente questa cosa?
Certo, così come segna tutti gli esseri umani che hanno partecipato a questo periodo storico.
Sei anche uno straordinario performer. Che rapporto hai con il tuo corpo?
Il mio corpo per molti anni l’ho maltrattato, adattato ad ogni situazione senza proteggerlo. Sono in una fase di cura oggi, e questo mi sta facendo prendere maggiore consapevolezza dei miei limiti, da rispettare o da espandere. Il corpo è l’unica cosa di cui siamo davvero in possesso qui, mi fa riflettere il fatto che questa cosa sia comunemente ignorata, ci si ricorda di lui solo quando fa male, nonostante sia addosso a noi ogni giorno.
Hai la più vaga idea di come ti evolverai?
Forse.
Infine vorrei che ci parlassi dei tuoi sogni, bisogni, ambizioni proibite e paure.
Mi permetto di evadere da questa richiesta perché la risposta sarebbe inevitabilmente parziale ed inesatta in quanto i temi evocati sono temi continuamente in movimento, metterli nero su bianco darebbe loro un’eternità che per loro natura non rivestono.
Se non fossi N.A.I.P., chi saresti?
Un benzinaio qualsiasi.
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