#PESAROFF57 / The Witches of the Orient e gli incontri del 24 giugno
LE “STREGHE D’ORIENTE” CONQUISTANO LA PIAZZA DI PESARO
EMERGENCY PRESENTA CAPITAN DIDIER DI MARGHERITA FERRI
LUCA FERRI E LYNNE SACHS RACCONTANO I LORO FILM IN CONCORSO
È stato presentato ieri sera in Piazza uno dei film più attesi del Concorso della 57° Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, ovvero The Witches of the Orient, il nuovo documentario “sportivo” con il quale Julien Faraut torna a Pesaro due anni dopo il successo di John McEnroe - L’impero della perfezione, con cui aveva vinto sia il premio della giuria professionale sia di quella degli studenti.
Come ha ricordato il direttore della Mostra Pedro Armocida sul palco, quello era stato il lancio italiano di un film che avrebbe poi raccolto numerosi consensi e la distribuzione nelle sale, e ha quindi augurato a questa nuova opera, sempre in anteprima italiana, di intraprendere lo stesso fortunato percorso, essendosi già assicurata la distruzione grazie a Wanted Cinema. Julien Faraut, in collegamento dalla Francia, ha prima ricordato i bei momenti passati a Pesaro e nelle sue gelaterie: («i francesi sanno fare tante cose, ma mi mancano i vostri gelati»), per poi introdurre con ironia le sue “streghe”, interrogando il pubblico e spiegando come in questo caso non si tratta né di una figura alla Anjelica Houston in Chi ha paura delle streghe?, né di quelle che volano in cielo su una scopa come in Kiki - Consegna a domicilio di Miyazaki. Le sue “streghe d’Oriente” sono quelle della nazionale femminile di pallavolo giapponese e della loro incredibile cavalcata alla conquista delle Olimpiadi di Tokyo 64, così soprannominate dalle rivali sovietiche.
Una storia fatta di sofferenza e sacrificio, in cui un gruppo di ragazze che poi costituirà il nucleo della nazionale giapponese lavorava ogni giorno in una fabbrica tessile per poi sottoporsi fino a notte inoltrata a massacranti allenamenti per la squadra di pallavolo dell’azienda, sotto l’occhio vigile e severo di un allenatore dai modi militareschi. Faraut ha scoperto questa storia dieci anni fa grazie a un allenatore di pallavolo e ha potuto approfondirla nel tempo lavorando nell’archivio filmico dell’Institut National du Sport francese. La vicenda lo ha colpito a tal punto da arrivare a maturare la convinzione di realizzare questo film non solo per diffonderne la storia ad un pubblico internazionale, ma soprattutto come “omaggio” alle atlete stesse. Già entrate nell’immaginario collettivo giapponese, infatti, questa mitica squadra ha ispirato una serie di cartoni animati e fumetti poi sbarcati con successo anche in Italia, primo fra tutti Mimì e la nazionale della pallavolo, di cui Faraut riprende numerose sequenze per sovrapporle a quelle delle reali partite della nazionale. A queste si mescolano, con un preciso occhio da archivista e da storico, ma anche con grande ricercatezza formale, interviste ad alcune delle superstiti di quella squadra e numerosi filmati d’epoca.
In precedenza la serata era stata aperta da un evento dedicato a EMERGENCY, da quest’anno charity partner ufficiale della Mostra, con la proiezione di Capitan Didier, il corto prodotto da LYNN, la divisione tutta al femminile di Groenlandia (Matteo Rovere). A presentarlo sul palco, oltre a Michela Greco di Emergency, c’erano anche la regista Margherita Ferri, la sceneggiatrice Roberta Palmieri e la compositrice delle musiche Alicia Galli. A essere intervista per prima è stata la sceneggiatrice, dalla quale è partito l’intero progetto in quanto vincitrice della seconda edizione del concorso “Una storia per Emergency”. Palmieri ha raccontato come abbia voluto dare voce agli invisibili della nostra società quali sono le figure dei rider, per aiutare il pubblico a pensare che la storia e la vita di molti dei migranti che arrivano dal Mediterraneo non si esaurisce solo nel loro tragico viaggio e nel loro approdo in Europa. Una storia che ha richiesto una grande sensibilità nella messa in scena realizzata da Margherita Ferri, al momento impegnata sul set di una serie Amazon Prime, in grado di restituire grandi emozioni, alle quali contribuiscono anche le musiche di Galli che ha liberamente ri-arrangiato sonorità tipiche dell’Eritrea.
In mattinata invece c’è stato il consueto incontro con i registi del Concorso Pesaro Nuovo Cinema e la Mostra ha avuto il piacere di accogliere in presenza uno dei tre italiani in gara, Luca Ferri, che a Pesaro ha presentato il suo nuovo lavoro Mille Cipressi, con il quale prosegue il suo percorso di ricerca sull’immagine iniziato con Abacuc e proseguito con altre opere presentate a Venezia, Berlino e Locarno. Il corto segue un uomo in visita alla Tomba Brion, nel complesso funebre monumentale realizzato dall'architetto italiano Carlo Scarpa, nel cimitero di San Vito, in provincia di Treviso. «Non è un film sull'architettura, ma sul senso delle cose, sul perché stiamo al mondo». La serrata ricerca formale del regista, che riprende in 4:3 una serie di dettagli della tomba, avvia una riflessione sul nostro modo di conoscere e vedere il mondo: «La mancanza di un'inquadratura totale dell'opera di Scarpa serve a rimarcare l'impossibilità di poter cogliere la sua integralità». Questa scelta segna l'allontanamento da una visione superficiale, che deve lasciare spazio ad una penetrazione profonda di ciò che si guarda. «Non esiste il nuovo», ha spiegato rispondendo ad una domanda, «ma solo una ripresa cosciente del classico»; esattamente come dichiarò lo stesso Scarpa, le cui parole sono state riprese da Ferri per la voce narrante di Assila Cherfi.
La poetessa e regista Lynne Sachs ha poi partecipato in collegamento da New York alla seconda parte dell’incontro per parlare di Film About a Father Who, il suo nuovo lungometraggio presentato in concorso. Il film è un documentario autobiografico e racconta la complessa figura del padre della regista, Ira Sachs Sr., utilizzando materiali eterogenei raccolti nel corso di più di trent’anni: «Ogni volta che io e mio padre ci siamo trovati insieme, nell'arco di trent'anni, io filmavo. Il risultato sono ore e ore di girato in pellicola 8mm e 16mm, in video e in digitale». Nel corso della sua vita l’uomo ha avuto numerose donne dalle quali sono nati nove figli. Attraverso questo home movie, la regista attua il tentativo di comprendere, analizzare e confrontarsi con la sfuggente figura paterna e con quella dei vari fratelli. L’obiettivo, come ha affermato Sachs, è quello di mettere in relazione la sua memoria con quella degli altri figli di Ira per tentare di afferrare la personalità del padre: «Volevo fare un film che indagasse i vari modi che ognuno di noi utilizza per capire una persona e mostrare come si possa giocare con essi». Infine, la regista ha voluto sottolineare come la scelta di usare il generico "a father" nel titolo, oltre a essere un omaggio a Film About a Woman Who... di Yvonne Rainer, fosse un invito rivolto a tutti gli spettatori a riflettere sulle proprie famiglie per confrontarsi con quella «figura misteriosa che i genitori possono a volte rappresentare per i propri figli».