A seguire l’incontro online con l'autore alla presenza dei curatori Giulio Sangiorgio e Mauro Santini
A Cali, in Colombia, un sarto, un marionettista, un parapsicologo e un fisico narrano episodi presumibilmente avvenuti in città: la scomparsa di una mucca; un caso di possessione per opera di una marionetta; il verificarsi del paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen, la caduta di un bus in un fiume a causa di un leone. Tutto ciò però non occupa il centro della composizione, ma viene ridimensionato, in quanto parte di un sistema dinamico di rapporti. A tessere la rete di collegamenti è un occhio meccanico cinematografico che, procedendo libero dalla forza dell’abitudine lungo imperscrutabili traiettorie e forzando ai limiti estremi le proprie possibilità di visione, si fa tramite rivelatore di relazioni occulte: dettagli che la vista umana non riuscirebbe a isolare, grazie alla potenza del primissimo piano diventano un misterioso paesaggio in cui si annidano sorde minacce, anticamera del cupo in agguato costante.
Riccardo Giacconi ha studiato arti visive presso l’Università IUAV di Venezia. Il suo lavoro è stato presentato in varie esposizioni, fra cui presso Grazer Kunstverein (Graz), ar/ge kunst (Bolzano), MAC (Belfast), WUK Kunsthalle Exnergasse (Vienna), FRAC Champagne-Ardenne (Francia), tranzitdisplay (Praga), Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (Torino). È stato artista residente presso la Künstlerhaus Büchsenhausen (Innsbruck, Austria), il Centre international d'art et du paysage (Vassivière, Francia), Lugar a Dudas (Cali, Colombia), La Box (Bourges, Francia) e MACRO – Museo d’arte contemporanea di Roma.
Ha presentato i suoi film in diversi festival, fra cui il New York Film Festival, l’International Film Festival Rotterdam, la Mostra del Cinema di Venezia, Visions du Réel, il Torino Film Festival e il FID Marseille, dove ha vinto il Grand Prix della competizione internazionale nel 2015. Ha co-fondato il festival di ascolto Helicotrema e il laboratorio di narrazione sonora Botafuego.
a cura di Giulio Sangiorgio e Mauro Santini, in collaborazione con Tommaso Isabella
Quella di Riccardo Giacconi è una delle indagini più sottili e articolate che oggi possiamo trovare in Italia in quell'area della non fiction che si rifà alla tradizione (ammesso che una forma così capricciosa possa generarne una) del film saggio. Il carattere saggistico non dipende tanto dall'estensione e dall'eclettismo dei suoi interessi né dalla duttilità della sua ricerca – che si applica altrettanto all'installazione e alla scrittura, all'audio-documentario e alla curatela editoriale – e nemmeno dalla sua capacità di declinare in forme sensibili problemi che parrebbero squisitamente intellettuali. Quel che pone il lavoro di Giacconi nel solco più fertile e distintivo del saggio filmico è la comprensione di una fondamentale sfasatura nel suo dispositivo audiovisivo, l'insistenza metodica su quel crinale che è la relazione non sincronica tra parola e immagine. Quanto mai lontana dal regime identitario della didascalia, questa relazione nei film di Giacconi assomiglia piuttosto a quella fluida e sovversiva che si instaura nelle scene surreali dei rebus enigmistici. Ogni suo lavoro sembra nascere da un'osservazione, insieme lucida e immaginosa, dei fili impercettibili che collegano le parole e le cose. Seguire il garbuglio di questi fili, escogitare articolazioni della sua complessità, permette di incrinare le gerarchie acquisite, come nel teatro di marionette (luogo di riflessione a cui Giacconi è tornato spesso, fino al recente Diteggiatura) il marionettista capace arriva a dubitare che sia lui a dirigere i movimenti della marionetta e non viceversa. È rinunciando all'illusione di un controllo assoluto, avvertendo la tensione di una reciprocità, che inizia davvero la sua arte.
Questo profilo è composto da due programmi intitolati Luoghi e Specchi. La suddivisione tuttavia non preclude che i luoghi siano specchi e gli specchi siano luoghi. Come accade anche nel cinema di Giacconi, che ama coltivare i paradossi e giocarvi seriamente, il rovesciamento permette di osservare meglio le proprietà in campo.
Anche se spesso i suoi film nascono e si sviluppano come una forma d'incontro e di conversazione, che stia filmando luoghi o persone, Giacconi non sembra mai focalizzato semplicemente sul suo soggetto, quanto su relazioni che si instaurano in seguito a particolari interazioni e si perpetuano a distanza. Sintetizzata brutalmente e calata nel mondo particellare della fisica quantistica, questa è l'idea alla base della teoria dell'entanglement o correlazione, ispirazione catalizzatrice delle quattro storie di Entrelazado, che a prima vista sono accomunate solo dall'essere state narrate al regista nella città di Cali, in Colombia. Ma in fondo una simile correlazione a distanza è quella che l'atto del montaggio infonde ai materiali di un film, stabilendo scorci da cui le cose possono riflettersi l'una nell'altra. Così in Gondwana, una comunità spaesata come quella dei Tuareg di Pordenone, si riflette nel paesaggio disseccato dei Magredi friulani, ritrovandovi la memoria arcaica di un deserto e il tempo profondo che accomuna Friuli e Niger nella loro ricchezza di reperti paleontologici. Due racconta invece di una comunità che «si enuclea senza drammi» dal proprio territorio per proiettarsi in un luogo pianificato a sua immagine, quella Milano 2 che è cellula urbanistica e generativa di un berlusconismo mediatico e politico a venire e di cui seguiamo lo sviluppo in vitro nel succedersi di diapositive e frammenti di testo tratti da progetti e brochure pubblicitarie, osservando l'emergere di un'inquietudine oscillatoria nelle immagini balbettanti, come una perturbante discrasia tra modello e realtà.
Chi ha lottato con l'angelo resta fosforescente è un incontro con Maria Luisa Spaziani e coi suoi versi lasciati fluttuare su inquadrature di profondità acquatiche. Come l'intreccio invisibile delle particelle quantistiche che continua ad agire a distanza, la fosforescenza di cui parla la poetessa è il marchio lasciatole dalla visita dell'angelo, ovvero la potenza trasfigurante di uno sguardo poetico che imprime alla realtà la propria segnatura facendosi specchio tra parola e cosa. Una casa di specchi infranti è il caleidoscopio di schermi e finestre desktop in cui si rimira e si disperde il giovane A., protagonista di Piuccheperfetto, un ritratto che guarda il proprio soggetto guardarsi, secondo una formula en abyme che Giacconi aveva già impiegato per inquadrare l'Arlecchino elettronico Alberto Camerini. Ma invece della meditazione retrospettiva che è Prologo ed ecfrasi di Alberto Camerini, questa è una proiezione frastornante nel narcisismo digitale dell'età contemporanea. Anche A. è un Arlecchino sbruffone, la sua fragile identità è un patchwork che vediamo mutare da un frammento video a una story di Instagram, tra dreadlock e creste, tatuaggi e autolesionismo, accostando il senso di ribellione e il disagio che lo inchiodano alla sua provincia come la vittima di un assurdo sacrificio.
TUTTE LE PROIEZIONI SONO GRATUITE