LA BIENNALE DI VENEZIA con Asia Argento e Marco Giusti
sigla per la 56^ Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, 1’, 1999
LA PISTA con Simona Mulazzani
produzione Mixfilm, 2’, 1991
LE CRIMINEL
produzione Trans Europe Film, La Sept ARTE, CNC, 5’, 1993
PINOCCHIO
produzione Toccafondo, La Sept ARTE, 6’, 1999
ESSERE MORTI O ESSERE VIVI È LA STESSA COSA dedicato a Pier Paolo Pasolini
produzione Tele+, Fandango, 4’, 2000
LA PICCOLA RUSSIA
produzione ARTE France, Fandango, Studio nino, 16’, 2004
UNDERGROUND LOVERS per C’MON TIGRE
4’, 2019
DREAMLAND con Pasquale Catalano
produzione Voxfarm, 14’, 2021
LUCIANO PAVAROTTI La stella
Albedo production, sigla, 1’, 2022
LA VOCE DELLE SIRENE
Miyu production, ARTE France, 50 N, 15’, 2023
Gianluigi Toccafondo è un autore nel senso più pieno del termine: realizza i propri lavori da solo, disegnando a mano ogni volta migliaia di fotogrammi, e col suo operato artigianale esprime se stesso, il suo mondo interiore, con la massima libertà estetica. Anche quando lavora su commissione per imprese commerciali e istituzioni (è il caso degli spot pubblicitari dei Levi’s e della Sambuca Molinari, delle sigle di alcuni programmi Rai e della Mostra del cinema di Venezia, della casa di distribuzione Fandango), il suo stile, il linguaggio impiegato, rimane sempre ineguagliabile. Sa comunicare a tanti con la sua originale poetica audiovisiva, partendo spesso, oltre che dai disegni, dalla deformazione di immagini reperite altrove: vecchi film, fotografie, fotoromanzi, fumetti, pagine di pubblicità. E si esprime anche come illustratore (ad esempio per le riviste «Linea d’ombra» e «Lo Straniero» di Goffredo Fofi, e «Diario» di Enrico Deaglio) e come artista multimediale. Ha anche collaborato, come aiuto regista, alla realizzazione di Gomorra di Matteo Garrone. La Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro ha sempre apprezzato e valorizzato il suo lavoro.
Gianluigi è nato a San Marino nel 1965, è cresciuto nella campagna pesarese, e si è diplomato all’Istituto Statale d’Arte Scuola del Libro di Urbino, come molti altri grandi autori del cinema d’animazione italiano. Le immagini ideate per i suoi film puntano ad una deformazione dinamica delle forme, in un divenire frenetico e avvolgente. Così sono congegnati La coda, del 1989, La pista, del 1991, La pista del maiale, del 1992, Le criminel, del 1993. Pinocchio, realizzato nel 1999 con le musiche originali di Mario Mariani (suo collaboratore anche per la sigla della Mostra di Venezia e per altri lavori), trae spunto liberamente dalla rielaborazione delle storie e della figura del burattino collodiano. Qui Toccafondo è capace di trasformare – grazie ad un componimento articolato di suggestioni e stimoli eterogenei – la vicenda emblematica di Pinocchio in un viaggio aperto, un'avventura della conoscenza che fa i conti con ombre, ossessioni, speranze, e che si contamina con archetipi universali (le metamorfosi, il ventre della balena), col cinema delle origini, con Buster Keaton, con Totò (presenze cui il cinema di Toccafondo ama accennare spesso), risolvendosi in un sogno ininterrotto, carico di magia. Nel 2003 realizza La piccola Russia, film insolitamente “lungo” (per le abitudini dell’autore), di 16 minuti, in bianco e nero, co-prodotto da Arte France e Fandango. Un lavoro profondo e inquietante, che segna una svolta decisa verso il racconto. La vicenda narrata ha tratti morbosi: rimanda ad un immaginario erotico distorto e al vivere schizofrenico di un personaggio che si agita fra la campagna e la costa romagnola. Ha detto a questo proposito l’autore: «Non sono gentile verso la mia regione. Mi piace fare le cose lì, ma quando vado a filmare, mi piomba in testa tutta la miseria e la malinconia del mondo. È anche una questione di luce. È una sorta di bassa pressione che ti spinge sempre giù. D’inverno c’è la nebbia, d’estate il sole a piombo tutto il giorno, e il tramonto non esiste perché il sole va giù dall’altra parte. Le luci sono nette e secche, il mare lattiginoso. Ne La Piccola Russia, c’è un inizio bucolico e poi subentra rapida la violenza, interminabile, che potrebbe andare avanti all’infinito, senza mai fermarsi».
Più recentemente, grazie alla collaborazione col collettivo artistico-musicale C’Mon Tigre, realizza diversi interventi visivi e performance, e quindi il videoclip Underground Lovers. Si tratta di un racconto per immagini crudo, violento, sensuale. Le atmosfere evocate sono quelle dell’orrore de La piccola Russia, ma qui l’ambientazione è esotica (l’estremo oriente contemporaneo) e metropolitana. Il clima è quello dei primi film di Wong Kar Wai, e di certe opere di Hou Hsiao Hsien (Millennium Mambo): dimensione urbana e tragedia privata si fondono. Ma la prevalenza anche qui viene riservata al disegno: alle figure che si trasformano, mentre i corpi si piegano sotto i colpi del destino. Dreamland, invece, risponde ad una concezione diversa: è un’opera pittorica in movimento basata sulle suggestioni della Tosca di Puccini e sull’effetto di meraviglia dato dalla città di Roma e dal suo patrimonio artistico, ricco di suggestioni, anche oniriche. La presenza dominante è quella di Pasolini, con la sua visione non riconciliata, ma colma d’amore impossibile, della capitale. La combinazione sesso/morte, così importante nella nostra cultura, sia occidentale che orientale, e il mito delle Sirene (seducente combinazione di umano e animale) appaiono fondamentali nel cinema di Toccafondo. La sua arte è basata da sempre sulla contaminazione creativa, e siamo certi che saprà stupirci anche in futuro.
Pierpaolo Loffreda
Pittore, illustratore e cineasta nato a San Marino nel 1965, Gianluigi Toccafondo ha studiato all'Istituto d'Arte di Urbino, vive a Bologna. Dal 1989 realizza cortometraggi di animazione, iniziando a collaborare con Arte France dal 1992. Del 2000 il cortometraggio dedicato a Pasolini: Essere morti o essere vivi è la stessa cosa. Dal 1993 disegna sigle televisive per Rai Radiotelevisione italiana. Realizza loghi animati e sigle per il cinema (More Cinema More Europa, Biennale di Venezia, Scott free, Fandango, Cineteca Bologna) e la pubblicità - Levi’s, Sambuca Molinari, United Arrows. Dal 1999 al 2011 è l'autore delle copertine Fandango Libri. Ha illustrato libri, fra cui Il richiamo della foresta di Jack London, Jolanda, la figlia del Corsaro Nero di Emilio Salgari, La favola del pesce cambiato di Emma Dante, Pinocchio, Favola del gattino che voleva diventare il gatto con gli stivali di Ugo Cornia, Los girasoles ciegos di Alberto Méndez e Tango del ritorno di Julio Cortazar. È stato l’aiuto regista di Matteo Garrone per il film Gomorra. Del 2013 le animazioni per l'opera lirica La Sonnambula di Bellini, regia di Barberio Corsetti, al Teatro Petruzzelli di Bari. Dal 2014 al 2021 collabora con il Teatro dell’Opera di Roma disegnando i manifesti delle stagioni liriche e balletti; scene, video e costumi per Figaro!, Don Giovanni, Rigoletto OperaCamion. I suoi film e disegni sono stati esposti in diverse mostre personali e proiezioni tra cui: Lincoln Center di New York, Forum des images a Parigi, Accademia di Francia a Roma, Istituto Italiano di Cultura di Chicago.
Intervista a Gianluigi Toccafondo a cura di Pierpaolo Loffreda
Quale è stata la tua formazione culturale, in generale?
Più che una formazione culturale, direi che è stata una formazione visiva. Ho passato l’infanzia nel laboratorio di ceramiche di mio padre a Gabicce, e ho avuto a disposizione tutti gli strumenti per giocare con colori, creta, carta e pennelli. La caratteristica principale di un laboratorio di ceramica è la trasformazione della materia, a partire dalla modellazione della creta al tornio per arrivare al colore che si trasforma e cambia nella cottura ad alta temperatura. Un po’ come assistere ad un film d’animazione in continua evoluzione.
E il tuo percorso artistico come si è sviluppato?
A 14 anni mi sono trasferito a Urbino per studiare cinema d’animazione all’Istituto d’Arte, la scuola era all’interno del Palazzo Ducale, accanto alle opere di Piero della Francesca e Raffaello. Tutti i giorni entravo in questo luogo che mi ha molto influenzato, e ho cominciato a studiare disegno e pittura col professor Enrico Ricci. La materia doveva essere cinema d’animazione, ma in quella scuola tutto diventava un fatto pittorico, non esisteva una vera idea di cinema. Tant’è che quando mi sono trasferito a Milano al termine della scuola, non ero così convinto di fare l’animatore e volevo fare il pittore, mentre consideravo l’animazione uno strumento per guadagnarmi da vivere. Ho avuto la fortuna di incontrare Giancarlo Carloni, Giovanni Mulazzani e Tomislav Spikic. Per alcuni anni ho lavorato con loro alla Mixfilm, uno studio di pubblicità e illustrazione, dove ho imparato tanti metodi per fare animazione, da quelli più classici a quelli più sperimentali. Poi la sera mi rifugiavo in un piccolo studio dove andavo a dipingere dei quadri pesanti e densi di materia. Le due attività si sono incontrate, quando ho cominciato ad appiccicare sulle tele fotocopie tratte dal cinema che usavamo come base per le animazioni in studio. In poco tempo ho realizzato il mio primo cortometraggio, trasformando quelle fotocopie con la pittura, e quando l’ho visto per la prima volta sullo schermo, mi è stato chiaro che potevo fare una pittura in movimento, molto più libera e narrativa rispetto alle tele statiche e pesanti, dove cambiavo continuamente le figure, ma i passaggi venivano cancellati per sovrapposizione di colori e rimaneva un risultato finale sempre insoddisfacente. In quel momento mi sono ricordato i passaggi intermedi della ceramica, che quasi sempre erano più belli del risultato finale cristallizzato.
Quali modelli pensi ti abbiano influenzato (film, registi, pittori, scrittori italiani e stranieri, musicisti)?
Il cinema è sempre stato un riferimento: sia ad Urbino che a Milano ho frequentato cineclub e ho avuto la fortuna di vedere tanti film che mi hanno impressionato. Buñuel e Fritz Lang su tutti, ma anche La donna scimmia di Ferreri o Il tempo dei gitani di Kusturica. Pittori come Bacon e Munch, la fotografia di Muybridge sono state alla base delle mie prime sperimentazioni. I romanzi di Paolo Volponi hanno un impasto pittorico e materico, Kafka è stato alla base di tutte le metamorfosi animate. Negli ultimi anni ho lavorato al Teatro dell’Opera di Roma e ho molto amato il melodramma, che mi ha portato a spingere tanto il colore, fino ad arrivare alle fluorescenze. Oggi lavoro con amici musicisti come i C’Mon Tigre, e sto sviluppando un’attenzione per la voce. Ho avuto la fortuna di fare un piccolo filmetto per omaggiare Luciano Pavarotti, ed è stato molto sorprendente conoscere alcuni aspetti del suo lavoro sulla voce.
Come concepisci e come pratichi il rapporto fra immagini e musica?
Mi piace collaborare con i musicisti, perché mescolano da sempre suoni sintetici e suoni strumentali, mentre tra disegnatori ancora c’è divisione tra lavoro manuale e computer, insomma, penso che in generale i musicisti hanno superato molto prima questo dualismo, e i risultati sono evidenti. Nei miei primi cortometraggi ero molto attento alle battute musicali e prendevo i tempi prima di costruire le animazioni. Tutto era sincronizzato, ma nel tempo mi è sembrato un approccio un po’ troppo meccanico e così ho cominciato a montare i miei corti senza sonoro, per avere un ritmo autonomo e aggiungere la musica in un secondo tempo, di modo tale che musica e immagine avessero una loro autonomia: a volte si incontrano, a volte si allontanano. Poi ho cominciato ad usare i rumori per dare più incisività e profondità ai disegni, e trovare dei punti di unione tra musica e immagine. Alcune cose le ho registrate io personalmente, ed è stato come andare in giro a fare disegni e schizzi dal vero. Poi questi rumori rudimentali li ho mescolati a suoni e rumori realizzati in studio da musicisti. Adesso mi piace inserire le voci. Ho visto e ascoltato recentemente una mostra a Ravenna su Demetrio Stratos, e sono rimasto molto affascinato dal suo modo di usare la voce liberata dalle parole.
Se richiamo la tua attenzione su due personaggi: Collodi e Pasolini, cosa ti viene in mente?
Quella di Pinocchio è stata la storia che più mi ha colpito e influenzato fin dall’infanzia. Ho sempre messo orecchie d’asino, nasi e code ai personaggi che ho disegnato. Nelle poesie giovanili di Pasolini ho trovato spesso l’origine dei suoi film. Che cosa sono le nuvole? è un riferimento costante per il rapporto tra realtà e teatralità, con Totò-Jago dipinto di verde e Ninetto-Otello, dipinto di nero, marionette che vengono gettate nella discarica e guardano per la prima volta il cielo.
Il mito delle Sirene appare spesso nei tuoi film. Anche a me sembra fondamentale. Perché ti suggestiona?
Il canto del mostro era il titolo che avevo scelto per l’ultimo cortometraggio realizzato lo scorso anno in Francia. Il titolo è poi cambiato, ma la suggestione di un mostro che canta è sempre rimasta molto forte nel mio immaginario. Le forme femminili abbinate alla forza e violenza di un mostro mi hanno sempre affascinato. Mi si è presentata l’occasione quando un vecchio amico che non vedevo da anni, lo sceneggiatore e regista Vittorio Moroni, mi ha proposto un intervento di qualche minuto in animazione da inserire in un suo film dal vero. Era la storia di una famiglia di sirene. Leggendo la paginetta che mi riguardava, ho visto la possibilità di farne un cortometraggio autonomo dal film. Abbiamo sviluppato una storia che poi ho realizzato in Francia. Il film è terminato da poco e dura 20 minuti, un’eternità per i miei standard… Ho montato le scene senza sonoro col musicista Marco Molinelli, con cui collaboro negli ultimi anni, poi è subentrata la sua musica, che ha diviso le varie atmosfere sonore del racconto e sono intervenuti altri musicisti: Pasquale Mirra con lo xilofono per le scene della foresta, il flauto e il clarinetto di Beppe Scardino per le montagne, per il mare il violoncello di Daniela Savoldi e il corno di Mirko Cisilino. Infine è intervenuta Valeria Sturba per le voci delle sirene ed è stata per me una bellissima sorpresa quando ho visto che dall’animazione della boccuccia della prima sirena è uscita una vocina melodica con un linguaggio del tutto personale, dove il senso è dovuto dal tono della voce e non dal significato delle parole. Valeria ha un talento particolare nell’inventare una melodia, partendo dal labiale di una figura. Sono molto felice della lavorazione sonora, penso abbia contribuito molto all’atmosfera del piccolo film.
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