LEZIONI DI STORIA 7# PESARO 2024
ESPANDERE LA VISIONE - FILM MULTISCHERMO DEGLI ANNI '60 E '70
Malcolm Le Grice - Berlin Horse (1970)
film in 16mm su doppio schermo digitalizzato su video monocanale, 9’
«Il senso alla base di Berlin Horse è in gran parte l’analisi di alcuni aspetti del mezzo cinematografico, oltre che il postulare certe concezioni del tempo in modo più illusorio di quanto avessi fatto in altri miei film. Qui tento di paragonare alcuni dei paradossi del rapporto fra il tempo “reale” che si percepisce quando si gira il film e il tempo “reale” che si percepisce quando lo si guarda, così come il modo in cui il primo può essere modulato attraverso la manipolazione tecnica delle immagini e delle sequenze. Il film è diviso in due parti, unite da una sovrimpressione al centro in cui le due sezioni si incontrano. La prima parte corrisponde a una breve sezione di film girato da me in 8mm a colori, successivamente rifilmata dallo schermo in vari modi, in 16mm in bianco e nero. Il materiale in bianco e nero così ottenuto è stato poi stampato realizzando una sovrimpressione negativo -positivo attraverso filtri a colori, creando così un'immagine solarizzata sempre cangiante dotata di un suo tempo, indipendente dall'immagine. La seconda parte è realizzata trattando allo stesso modo un cinegiornale molto antico in bianco e nero avente un soggetto simile. (Malcom Legrice)
Malcom Legrice (1940) è famoso per i suoi film d'avanguardia così come per il suo lavoro di storico e teorico del cinema e scrittore. Attraverso la sua attività di artista e cineasta sperimentale si potrebbe costruire una storia del cinema parallela completamente alternativa. Malcom Legrice ha studiato il linguaggio del cinema delle origini, il teatro d’ombre, realizzato filmati e opere multischermo, arrivando al digitale e più di recente al 3D.
Alla presenza del curatore
ESPANDERE LA VISIONE - FILM MULTISCHERMO DEGLI ANNI '60 E '70
un programma curato da Federico Rossin
Per Adriano Aprà
I film multischermo sono un'esperienza cinematografica unica, avvolgente sia dal punto di vista spaziale che sensoriale. In quest'esperienza cinematografica immersiva, che rifiuta la sintesi monoschermica e va verso l'opera aperta, la terza dimensione dello spazio reale viene inglobata nella messa in scena scenografica, dissolvendo il confine tra la "sala" architettonica e gli spazi di proiezione virtuale per stabilire uno spazio poetico di realtà mista.
A partire dalla fine degli anni '50, il film multischermo irrompe nei padiglioni delle fiere internazionali di tutto il mondo: Roman Kroitor, Alexander Hammid, Francis Thompson sono solo alcuni dei grandi cineasti che hanno messo alla prova del grande pubblico le loro ricerche e pratiche sperimentali. A ruota sono seguiti i lavori di Nam June Paik, Aldo Tambellini, Juan Downey, che hanno creato eventi spettacolari in cui usavano molteplici media, attirando folle numerose e diverse composte da artisti, appassionati, curiosi e cinéphiles. Mettendo il cinema d'avanguardia in pieno dialogo con gli altri media, questi eventi multischermo hanno permesso che le tradizioni e i pubblici sperimentali si siano intersecati non solo tra loro, ma anche con le tecnologie e gli spettatori mainstream.
In questo scoppiettante periodo di sperimentazione, gli artisti di tutte le discipline hanno prestato attenzione alla materialità dello schermo, agli spazi in cui gli schermi apparivano e alle comunità che si riunivano intorno ad essi. In molti casi, i registi stessi hanno svolto il ruolo di programmatori, distributori e proiezionisti dei loro film sperimentali (Kenneth Anger usò tre proiettori sincronizzati e tre schermi per mostrare il suo Inauguration of the Pleasure Dome al Festival Internazionale del Film Sperimentale di Bruxelles nel 1958). Gli schermi sperimentali degli anni Sessanta e Settanta, in tutte le loro forme, hanno riunito per la prima volta più media e più ambienti: il mondo dell'arte (pensiamo a Andy Warhol e ai suoi Outer and Inner Space e Chelsea Girls, 1966), il mondo del cinema d'avanguardia (non dimentichiamo Jordan Belson, che dal 1957 fu Visual Director dei concerti Vortex al Morrison Planetarium di San Francisco) e il pubblico mainstream si sono ritrovati per la prima volta insieme.
I cineasti della neoavanguardia degli anni '50 e '60 sapevano bene di appartenere ad una lunga storia (il syncinema di Maurice Lemaître, 1952) e cercarono così di riattivare i legami con le avanguardie degli anni '20 che per primi avevano teorizzato il cinema “espanso” multischermo, prima in testi immaginifici (il polycinema di László Moholy-Nagy, Dynamik der Großstadt, 1921-22) e poi praticato in performance live (Oskar Fischinger, Raumlichtkunst, 1926) o in film spettacolari (il polyvision di Abel Gance, Napoléon, 1927).
Dominique Noguez ha reperito le radici di questa moltiplicazione schermica del film in una serie di desideri legati strettamente tra loro: il desiderio di estendere lo schermo; il desiderio di creare spazi immersivi, integrando il cinema con altri media registrati; il desiderio di usare il cinema in modo performativo, entrando in contatto diretto con il pubblico; e il desiderio di indagare il processo del cinema - la decostruzione degli elementi del cinema in cui l'opera diventa gli elementi stessi.
La produzione cinematografica sperimentale degli anni '60 e '70 ha ampliato non solo il concetto di schermo, ma anche quello del luogo in cui gli schermi potevano essere collocati e utilizzati. Gene Youngblood, nel suo pionieristico libro Expanded Cinema (1970), ha documentato questa moltiplicazione di schermi attraverso esperimenti con furgoni adibiti a cinema mobili, schermi gonfiabili portatili e proiezioni in spazi e gallerie di artisti, in televisioni pubbliche e private, su palcoscenici di concerti in combinazione con musica dal vivo, in planetari, in case private, in classi universitarie, in chiese e in clubs, e in enormi ambienti multischermo, che utilizzavano più media contemporaneamente come proiezioni in formati di pellicola diversi (IMAX, 35mm, 16mm e 8mm), proiettori di diapositive e monitor televisivi. Il cinema immersivo spaziava dal concetto di “cinema espanso” introdotta dal movimento di controcultura degli anni Sessanta alle installazioni di videoarte a multiproiezione degli anni Settanta, dalle proiezioni semisferiche senza cornice al collage cinematografico di proiezioni assortite, originariamente proiettate nella cupola di un planetario realizzato da Stan VanDerBeek nel suo Movie-Drome a partire dal 1965: l'obiettivo era sempre quello di facilitare una certa “mutazione mentale” nel pubblico.
I film a doppia o tripla proiezione di cui proponiamo una piccola ma significativa selezione, sono stati pensati per essere folgoranti eventi audiovisivi, assolutamente coinvolgenti per il pubblico. Avere due o più immagini proiettate permette di analizzare, giocare o creare ogni sorta di nuove possibilità sinottiche per l'artista e per il pubblico. Le relazioni tra le inquadrature e le immagini possono essere esplorate non solo in sequenza, cioè una dopo l'altra nel tempo, ma anche simultaneamente e attraverso lo spazio fisico dello schermo cinematografico. Le qualità immersive e ipnotiche della luce, dell'immagine, del montaggio e della doppia proiezione - e il loro impatto psicologico sull'individuo - vengono esplorate con straordinari effetti che ampliano le possibilità di espandere la coscienza e di analizzare la macchina-cinema. Un universo sinestetico in cui vogliamo tornare a tuffarci anima e corpo!
Federico Rossin
TUTTE LE PROIEZIONI SONO GRATUITE